Lo stupore che s’è perso

nebbia

“[..] Ho l’Europa sotto di me. Dalla Polonia all’Adriatico, dal Danubio alla Francia. Cerco il mio stupore in altri visi, ma i passeggeri dormicchiano, lavorano al computer, leggono annoiati riviste di bandiera. Sono in gran parte italiani, businessman trapiantati nell’eldorado balcanico del lavoro a basso costo. Nessuno è interessato a quella straordinaria visione. Portano scarponcini tecno, alcuni siedono accanto a donne dagli esagerati tacchi a spillo. Non hanno idea di cosa siano quel lago di luce e quelle montagne. Il popolo degli autogrill e dei telefonini è lontano dal territorio.

Non conosco nessuna nazione che assista così passivamente alla morte dei luoghi. Lo si vede già dalla segnaletica, da come i cartelli dei paesi si mescolano a quelli degli ipermercati. Le frazioni, le alture, i ruscelli stanno perdendo il nome, ultimo presidio dell’identità. L’economia ha sostituito la topografia, le pagine gialle la carta geografica. [..]

[..]Tutti parlano all’auricolare. Fanno la domanda degli spaesati: “Dove sei?”. Nelle risposte trionfa il gerundio: “sto andando”, “sto arrivando”, “sto uscendo in questo momento”. Il passato, il futuro e persino il presente sono scomparsi dalla lingua italiana. Resta solo il tempo istantaneo. La diretta no stop, la moviola di un film muto. Gli unici a mantenere un contegno sono gli asiatici. Un cinese legge, un israeliano prega contro il muro, un’indiana si pettina con sublime lentezza. Imperturbabili nella baraonda. Tutto il resto dice del crepuscolo d’Europa.

 

Paolo Rumiz, “La leggenda dei monti naviganti“, pp. 136-137, Feltrinelli, 2011

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